Piuro, posta nel punto più ampio della Val Bregaglia italiana, nell'attuale provincia di Sondrio, compare per la prima volta nel 973 come Prore nome che dal 1038 al 1125 si alterna con quello di Plurium, il quale, in seguito, ebbe il sopravvento [1].
Piuro fin dalle origini fu soggetta a Chiavenna, centro principale dell'omonima valle abitata dai Reti e in seguito conquistata dai Romani. Già prima della sua denominazione Piuro fu abitata da mercanti, cavatori e tornitori di pietra ollare [2] chiamata da Plinio lapis viridis comensis. La fortuna di questo borgo fu determinata dalla presenza di questa pietra e dalla sua collocazione geografica; dalla Bregaglia passava fin dall'epoca romana una delle vie, l'altra saliva al passo dello Spluga, che da Como conduceva a Coira (Curia Rhaetorum, oggi Chur) attraverso i passi del Settimo (Septimer), del Maloggia (Maloja) e del Giulia (Julier) [3].
Nei secoli IV e V l'impero romano che dominava la Rezia chiavennasca conobbe una progressiva decadenza dovuta tanto a crisi politiche interne quanto alla pressione delle popolazioni germaniche sui confini. A poco a poco si verificò il cedimento delle frontiere con la conseguente inevitabile commistione etnica e politica nei territori delle province di confine; tutto ciò indusse a prestare maggior attenzione alla tutela delle vie transalpine e alla fortificazione dei nuclei urbani che la controllavano. In questo periodo si collocano i castra o città fortificate di Comum, Clavenna, Curia. Agli inizi del IV secolo Diocleziano con la politica di decentramento amministrativo decise di suddividere l'antica provincia della Rezia in una Rezia I, centro alpina con capitale Coira, ed una Rezia II più settentrionale e distesa lungo la valle del Danubio con capitale Augusta. Nei primi decenni del VI secolo i Bizantini in guerra contro gli Ostrogoti riuscirono a riconquistare le terre italiane. La loro influenza si estese fino alle terre valtellinesi anche se arrestò qui avendo dovuto cedere la Rezia settentrionale ai franchi che riuscirono ad aggirare da nord le Alpi. I Bizantini rimasero nei territori valtellinesi e valchiavennaschi fino alla fine del VI secolo quando inevitabilmente si scontravano con i Longobardi che ne divennero i nuovi padroni. Nel 774, però, Carlo Magno, entrato in Italia, conquista la capitale Pavia e tutta l'Italia del nord [4].
Nel 1097 troviamo Chiavenna eretta a Comune ed abbiamo notizia di consoli misti chiavennaschi e piuresi. In quegli anni cominciarono le dispute fra le due popolazioni confinanti, i piuraschi iniziarono, infatti, a far sentire le loro ragioni circa talune spese loro addebitate. La Val Bregaglia era rappresentata da un console e nel 1133 godeva già di autonomia; infatti, nominava già propri amministratori. Una pergamena del 1135 parla di un sindaco e successivamente accenna ad altri magistrati. Il distacco da Chiavenna avvenne, comunque, per gradi e non senza attriti, che determinarono litigi, per causa di interessi comuni, a dirimere i quali i contendenti si rivolsero ai consoli di Como. Essi stabilirono che le spese spettassero per tre quarti a Chiavenna e per un quarto a Piuro. I conti presentati da Chiavenna non piacquero ai piuraschi perché essi reputavano dover pagare le spese fatte a comune vantaggio e non quelle che tornavano a beneficio della sola Chiavenna. Così la disputa fu portata davanti ai Consoli di Milano e questi l'8 maggio 1152 diedero ragione a Piuro [5].
L'autonomia fu finalmente raggiunta nel 1195, anno in cui Piuro, secondo un'antica pergamena, venne chiamata borgo e ad essa fu assegnato un giudice; nella sua giurisdizione si trovavano le località di Prosto, Sant'Abbondio, Savogno, Santa Croce e Villa. Piuro diventò così un comune indipendente comprendente il territorio che si estendeva da Chiavenna fino al torrente Lovero (oggi confine di stato tra Italia e Svizzera).
Nel 1215 compare il primo podestà, Revello Colligno, e già prima del 1226 Piuro aveva propri statuti [6].
Nel 1335 tutto il territorio della diocesi di Como passò dal vescovo ai Visconti di Milano fino alla metà del quattrocento e, dopo la repubblica ambrosiana, agli Sforza. Nel quattrocento il contado di Chiavenna fu ceduto da Bona di Savoia, reggente per il figlio minorenne Gian Galeazzo ai feudatari Balbiani di Varenna che con alterne vicende vi rimarranno per tutto il secolo. Il duca inviava a Chiavenna un commissario con funzione governativa e con funzione di giudice, oltre a un castellano e a due conestabili. Tali conestabili avevano il compito di sorvegliare le porte di cinta della città. Tutti i funzionari erano forestieri e in particolare i commissari nelle loro funzioni di giudici agivano tenendo presente, oltre alle consuetudini, anche gli statuti comaschi e milanesi [7].
Per i buoni uffici di Baldassarre Vertemate, appartenente ad una delle famiglie più facoltose del borgo, nel 1447 la cittadina ebbe il tribunale tanto civile che penale e perciò l'indipendenza da Chiavenna si poteva definire tale a tutti gli effetti. Il privilegio gli era stato accordato dai reggenti la Repubblica Ambrosiana con una bandiera bianca sulla quale campeggiava l'effige di Sant'Ambrogio, una croce rossa e il motto: libertas e la scritta significativa: bonum Plurium vincat [8].
La ricchezza del borgo si era accresciuta grazie alla presenza di alcuni fattori favorevoli. Il fattore più importante si deve ricercare in alcune circostanze storiche particolarmente felici che l'intraprendenza dei piuraschi seppe adeguatamente sfruttare. Una congiuntura fortunata si ebbe, infatti, con l'emanazione di un decreto imperiale e con l'ampliamento, nella stessa epoca, della strada del Settimo. Per favorire il vescovo di Coira Pietro Gelito che era stato cancelliere di Carlo IV d'Asburgo, quest'ultimo il 25 gennaio del 1359 ordinava, a tutti gli stati dell'impero che i commercianti, i quali desiderassero protezione per le loro merci, dovessero praticare esclusivamente le strade del vescovado di Coira senza cercare di aggirare, per vie traverse, quella dogana. Il 26 gennaio del 1387, sollecitato dall'università dei mercanti di Milano, il vescovo di Coira incaricò Giacomo di Castelmuro di allargare la strada del Settimo tanto che fosse percorribile da carri con un carico di rupi trentasei di peso ossia circa due quintali e mezzo [9].
Quando nel 1512 i Grigioni, confederati da più di cinquant'anni nella repubblica delle Tre Leghe Grigie, occuparono la Valchiavenna, Piuro beneficiava di un commercio fiorente della pietra ollare e della seta [10].
Il benessere dei piuraschi veniva accresciuto, oltre che dal commercio, anche dal monopolio dei trasporti con l'esazione delle relative tasse (Fürleite) [11] e dal pagamento dei tributi in denaro [12]. Infatti, a differenza che in altre zone, specialmente della Valtellina, a Piuro una notevole parte dei censi era pagata in denaro: segno evidente che circolava più che altrove [13].
Il periodo florido di Piuro si protrasse per parecchi secoli. La comunità continuava ad estrarre la pietra ollare dalle cave circostanti il suo territorio, per poi lavorarlo nei torni mossi dalla forza dell'acqua della Mera, il fiume che attraversava il centro abitato. Nell'epoca di maggior espansione la cittadina della Val Bregaglia poteva contare su 30 torni che lavoravano questa pietra. Con essa venivano confezionati, oltre alle pentole, tanti e svariati oggetti che prendevano le strade del mondo: dalla Germania alla Francia, dall'Ungheria alla Polonia, all'Austria e alle altre città italiane [14].
Nel 1485 mastro Planta de Limogis (Lumaga) di Piuro e Giovanni Rossati Salchi (Scialchi) di Dasile, costituirono una società per vendere la pietra ollare a Bologna dove risiedevano. Molti piuraschi, poi, fecero fortuna anche in Europa come banchieri e come commercianti. I mercanti di Piuro, infatti, ritiravano i bozzoli dei bachi da seta dai paesi vicini e li spedivano, una volta filati, ai Beccaria di Augusta e Lipsia, ai Lumaga di Como, ai Buttintrocchi di Venezia, ai Brocco di Palermo. Addirittura i Beccaria gestivano empori a Genova, a Norimberga, ad Anversa, a Vienna e a Basilea così come i Brocchi a Praga. Gli intraprendenti cittadini della Val Bregaglia erano presenti, con le loro sete, alla fiera di Francoforte. Nel 1616, poi, a Palermo fu costituito un Corpus communitatis terre Plury che aveva diritto alla nomina di ben sette rappresentanti per l'elezione dei "capi della nazione lombarda": uno di loro, Nicolò Brocco, divenne, due anni dopo, consul artis serice della città [15]. I dati che ci sono pervenuti relativi ai commerci piuraschi sono notevoli. Si lavoravano circa 20000 libbre di cotone l'anno e più di 30000 di seta greggia, mentre la pietra ollare rendeva oltre 100000 scudi annui [16]. Oltre a commerciare seta, cotone, laveggi [17], a Piuro giungevano frutti da Genova, spezie da Venezia e olio di oliva, anche se in parte veniva prodotto in loco [18]. Tutti gli abitanti mangiavano pane bianco, per cui i prestinai compravano all'estero 1000 some [19] di carlone [20] l'anno e frumento. Si smerciava anche vino proveniente sicuramente da luoghi circostanti, nonché dal comune stesso, per circa 3000 brente [21] [22].
In quegli anni di dominazione grigione si distinsero, nel nord d'Italia e in Svizzera, molti artisti piuraschi: fra questi Giovanni Battista Vertemate che progettò la cappella del Rosario in San Tommaso di Pavia [23].
Grazie alla prosperità dei suoi commerci, Piuro fu abbellita di palazzi e chiese, case con portici e colonnati e fu anche costruito un Ospedale o Luogo Pio a beneficio dei poveri. Purtroppo, a causa della rovina che sconvolse la cittadina nel 1618, è rimasto, a testimoniare la ricchezza delle illustri famiglie piuraschi, solo il palazzo Vertemate [24].
Nel 1618 Piuro venne sconvolta da una grossa frana che travolse gran parte dell'abitato uccidendo circa mille persone. Subito dopo la frana si cominciò a riattivare l'organizzazione comunale e a ricostruire il catasto.
Sotto il governo delle Tre leghe, la Valchiavenna divenne rifugio di molti fuoriusciti italiani perseguitati dalla Inquisizione perché protestanti o comunque eretici. Nel comune di Piuro convivevano la comunità cattolica e la comunità protestante riformata. I cattolici dovettero dare la chiesa di Santa Maria ai protestanti a causa del decreto grigione del 1557 che imponeva di cedere una chiesa ai protestanti, se in paese ce ne era più di una. A dimostrazione del clima, tutto sommato, di tolleranza che c'era a Piuro, rispetto a quello della Valtellina, si può ricordare la disputa pubblica che si tenne, nel 1597, in città, nella chiesa di San Giovanni, relativamente al valore della messa tra rappresentanti cattolici e rappresentanti della chiesa riformata [25].
Il governo grigione su Piuro terminò, come per tutto il contado di Chiavenna, nel 1797. Da quella data, la Valchiavenna, unita alla repubblica cisalpina, seguì le vicende politiche della Lombardia. Nel 1815 l'ex contado di Chiavenna fu assoggettato al dominio della casa d'Austria nel regno lombardo-veneto; nel 1816 venne attivato il comune di Piuro nella nuova provincia di Sondrio.
L'AMMINISTRAZIONE DEL COMUNE DI PIURO FINO AL XVIII SECOLO
Quando giunsero i Grigioni in Valchiavenna nel 1512 divisero il contado di Chiavenna in tre giurisdizioni: Chiavenna, Piuro e Val San Giacomo. La rappresentanza del governo grigione e l'amministrazione della giustizia erano affidate ad un governatore, col titolo di commissario per tutta la giurisdizione di Chiavenna, ad un podestà per Piuro e ad un ministrale per la Val San Giacomo [26].
La giurisdizione di Piuro formava anticamente un solo comune, ma nel 1584 essendosi Villa separata da Piuro, si vennero a costituire due comuni distinti e separati. Il comune di Piuro venne ad estendersi per tutto il territorio che giace fra la valle Pluviosa e le croci divisorie che lo separavano dalla giurisdizione di Chiavenna e sino alla stretta di Viabella, al di sopra di Santa Croce dove confinava con il comune di Villa, mediante le croci di cui si fa menzione nell'arbitrato divisionale fra Piuro e Villa rogato dal notaio piurese Claudio Beccaria il 10 dicembre 1608. Dalla parte di mezzogiorno si estendeva, sino alla sommità dei monti che lo facevano confinare con la Val San Giacomo, comprendendo inoltre, nel suo estimo e territorio, le alpi della valle di Lei [27].
Va sottolineato che l'organizzazione comunale, tranne brevi cenni ad alcune cariche amministrative, non è codificata negli statuti: ci si limita agli ordini annuali e ai capitoli economici, per la parte economica, mentre quella istituzionale è regolata dalla consuetudine. Risulta, pertanto, decisiva l'analisi degli stabilimenti e dei maneggi [28] consolari per l'organizzazione politico-amministrativa della comunità.
Gli organi deliberanti del comune di Piuro erano: il consiglio generale, il consiglio ordinario segreto e il consiglio della giunta straordinaria [29].
Partecipavano al consiglio generale tutti gli uomini capifamiglia, vicini e abitanti nella comunità che avessero superato l'età di venti anni. Tale consiglio, convocato dal pubblico servitore, si radunava su istanza del console ogni volta che si rendesse necessaria la trattazione di argomenti di particolare gravità od importanza per la vita della comunità, quali la nomina degli assessori del podestà, dei consoli di giustizia, degli ufficiali di milizia, l'accettazione dei "vicini", l'emancipazione di persone, l'esazione delle taglie [30].
Prima della rovina di Piuro, il governo ordinario del comune era retto da 10 consiglieri, di cui facevano parte: il console, il viceconsole, il caneparo, due consoli di giustizia e due provisionari. Cinque di questi consiglieri, fra i quali il console e il viceconsole, si sceglievano fra i cittadini del borgo e gli altri cinque fra gli abitanti delle vicinanze. Dopo la distruzione del borgo però, i popoli delle vicinanze si arrogarono la possibilità di scegliere il console. A causa della morte di quasi tutti i consiglieri fu scelto Francesco Forno che ridusse il consiglio ad otto membri, due per ciascuna vicinanza: Prosto, Sant'Abbondio, Savogno e Santa Croce. Dal 1665 i componenti del consiglio ordinario diventarono 12, tre per ogni vicinanza [31]. Il consiglio ordinario segreto veniva convocato dal console mediante avviso ai singoli consiglieri recapitato dal servitore della comunità e presieduto dal console stesso o, in sua mancanza dal viceconsole, generalmente nella sua abitazione. Le date fisse di convocazione del consiglio erano il 31 dicembre ed il primo gennaio successivo di ogni anno per deliberare: il 31 dicembre sull'elezione del nuovo consiglio per il governo e sui consoli di giustizia e il 1° gennaio per l'elezione del console, del viceconsole e dei due provisionari. Il consiglio ordinario segreto si occupava delle questioni relative all'organizzazione del comune: la nomina dei consiglieri straordinari, la nomina dei deputati alla revisione dei conti consolari, degli estimatori giurati, degli esattori delle taglie, dei pubblici servitori. Il consiglio si occupava poi dell'incanto delle proprietà comunali, dell'esecuzione delle opere pubbliche, della preparazione degli estimi e di tutti i provvedimenti di spesa e di ordine pubblico. A differenza del consiglio generale la validità delle delibere del consiglio ordinario segreto era condizionata dalla presenza dei due terzi dei consiglieri.
Il consiglio ordinario segreto aveva anche il diritto di nominare i quattro sindaci dell'Ospitale dei poveri, uno per vicinanza e dei due sindaci generali i quali non potevano esercitare il loro ufficio oltre due anni [32].
Il consiglio della giunta straordinaria era composto da 24 consiglieri: 12 del consiglio ordinario segreto e 12 di giunta. I dodici consiglieri di giunta straordinaria erano rinnovati ogni anno e la loro elezione spettava al consiglio generale che ne attribuiva, per lo più, la facoltà al consiglio ordinario segreto. Il consiglio della giunta straordinaria si occupava degli affari del comune che importassero una somma superiore alle lire duecento. A tale organo era poi riservata la facoltà di creare debiti, alienare proprietà comunali, promuovere liti e prendere deliberazioni della massima importanza [33].
Le cariche del comune di Piuro erano: il console, il viceconsole, i provisionari, i consoli di giustizia, i commissari o deputati delle strade, i campari, i sindaci e gli stimatori, gli esattori delle taglie e i sindaci dell'Ospitale dei poveri.
Il CONSOLE era il capo del comune, convocava e presiedeva i consigli, riscuoteva ed amministrava le entrate, ma tale sua preminenza gli riservava anche gravosi obblighi [34]. Infatti alla fine del suo mandato annuale il console era obbligato a rendere esatto conto delle riscossioni e dell'amministrazione del comune (così anche gli altri ufficiali rispettivamente nei limiti del loro ufficio). Se il console aveva commesso frode o inganno relativamente agli affari del comune o se aveva indebitamente ricevuto qualche cosa da alcune persone per il suo ufficio veniva condannato nel quadruplo di quanto avuto e la quarta parte della sanzione, ricevuta dal comune veniva versata all'eventuale accusatore [35]. Il console era anche ritenuto responsabile per il debito del comune, onde si poteva dare il caso che egli fosse tenuto a rispondere con il proprio patrimonio per l'obbligazione contratta dal comune nei confronti di alcuna persona od università [36].
Il console aveva anche l'obbligo di denunciare la commissione di delitti al podestà ed era tenuto, sotto pena pecuniaria fissata dallo statuto, a mostrare i terreni e i beni dei quali si chiedeva la stima in un procedimento esecutivo. Il console di Piuro, inoltre, veniva eletto dal consiglio segreto nella sua prima seduta del 1° gennaio, non poteva restare in carica per più di un anno e doveva riscuotere e rendere conto delle entrate, sebbene non esatte, del comune, il quale per questo titolo lo gratificava con lire 200 [37]. Più precisamente, allo scadere dell'incarico annuale del console, la contabilità della sua amministrazione, registrata con le partite del dare e dell'avere, era soggetta nell'anno successivo, spesso a più riprese, al controllo del console di quell'anno e dei due o tre deputati alla revisione dei conti, appositamente nominati dal consiglio ordinario segreto, allo scopo di stabilire il saldo finale tra i conti del console e quelli del comune: il maneggio, così visionato e sottoscritto dai revisori, era quindi sottoposto all'approvazione definitiva del consiglio ordinario. Nella revisione venivano costantemente indicati: la data ed il luogo di revisione, il nome dei revisori e la deliberazione del consiglio che li aveva deputati, le quote di entrata e di uscita del maneggio e il conseguente credito o debito del console verso la comunità.
L'incarico di VICECONSOLE era, generalmente, affidato ad una persona pratica e bene informata degli affari del comune, perché dovendo, nelle votazioni del consiglio, precedere, con il suo, il voto degli altri consiglieri, egli era spesso di guida per gli altri nel dimostrare, con tale suo voto, la validità, l'opportunità e la convenienza delle deliberazioni da prendere.
Per quanto riguarda i rapporti con il console, il viceconsole era tenuto a rappresentarlo ed a farne le veci ogni volta che, per giustificati motivi, quello non fosse stato in grado di esercitare le attività inerenti il suo ufficio [38].
I PROVISIONARI erano eletti, nel numero di due, dal consiglio ordinario nella sua prima seduta del 1° gennaio e restavano in carica per due anni. Il termine provisionari o giudici di provvisione o giudici sopra le "vitualie" derivava dall'attività che essi svolgevano e dalla loro principale attribuzione. Questa consisteva nell'obbligo di vigilare affinché nel comune fosse conservata provvista sopra tutte le vettovaglie che si vendevano al minuto nella giurisdizione e nell'obbligo di controllare la composizione della farina per il pane. I provisionari non godevano di uno stipendio fisso per le attività da loro svolte, ma ad essi era dato dal console e dal consiglio quel salario che a loro sembrava congruo affinché potessero svolgere in modo giusto l'ufficio. Comunque ai provisionari spettava di diritto la terza parte delle multe pagate dai trasgressori delle grida da essi esposte, in merito alla regolazione della materia loro affidata.
Anche i provisionari dovevano, prima di poter esercitare le attività inerenti al loro ufficio, sottostare al giuramento di agire in modo giusto, secondo la legge, in buona fede, senza frode o dolo, senza riguardo per gli amici, per i parenti, per i ricchi, per i poveri e soprattutto senza speranza di conseguire alcun premio oltre ciò che era loro dovuto [39].
I CONSOLI DI GIUSTIZIA erano scelti dal consiglio generale di Piuro e, immediatamente dopo la loro elezione, dovevano giurare davanti al consiglio stesso [40]. I candidati dovevano essere dottori laureati in legge (juris periti) e in mancanza di questi, notai esperti (notary pratici) e di matura età (maturae aetatis) e che, mancando per qualsiasi motivo entrambi o uno solo, se ne eleggevano ancora due o un altro, in modo che, nella giurisdizione, vi fossero sempre due consoli di giustizia aventi la condizione sopra scritta. Tali consoli avevano il potere di autenticare atti, nonché sottoscrivere gli atti redatti, copiati e rogati da qualsiasi notaio morto in questa giurisdizione; essi, infatti, avevano la potestà di autorizzare ad esercitare la funzione notarile alle persone che avessero assunto il titolo di notaio direttamente, come previsto, dai conti palatini. Solo dopo la conferma da parte dei consoli di giustizia, i notai nominati dal funzionario imperiale, cioè il conte palatino, potevano esercitare le loro funzioni. Tale conferma prendeva il nome di laudatio [41]. Per la sottoscrizione di ciascun atto notarile e per la laudazione di ciascun notaio era dovuta ai consoli di giustizia una ricompensa. Addirittura l'autorità dei consoli di giustizia era talmente forte nei confronti del notaio eletto dal conte palatino che, tale notaio, non solo non avrebbe potuto esercitare le sue funzioni se non si fosse presentato ai consoli di giustizia, ma anche i suoi atti non avrebbero fatto pubblica fede. La trasgressione dell'ordine avrebbe causato l'esborso di una pena pecuniaria da applicarsi alla camera dominicale per ogni atto rogato e scritto dal notaio [42].
Fra le attività di revisione e di controllo attribuite ai consoli di giustizia, vi era quella di esaminare ogni biennio, presente il podestà, i rendiconti dell'amministrazione dei beni dei pupilli, da parte dei loro tutori o curatori, ed eventualmente di distribuire pene pecuniarie in caso di frode o inganno che avesse portato depauperamento dei beni dei minori. I consoli di giustizia restavano in carica per un tempo indeterminato [43]. Essi concorrevano anche alla formulazione della dichiarazione di raggiungimento della maggiore età e assistevano alla emancipazione dei minori e, verificandosi certe circostanze, a loro e ad arbitrio del podestà, abbassavano da diciotto a sedici anni il limite di età per poter esser emancipati [44]. Sempre in tema di emancipazione del minore i consoli di giustizia assistevano, con il podestà all'assegnazione della porzione di patrimonio da darsi all'emancipato come quota della sostanza paterna che non doveva essere superiore alla quota di eredità legittima [45]. Essi dovevano, poi, presenziare, con il podestà, a qualunque spoliazione o vendita di immobili che eccedesse la somma di lire 10 terzole [46]. Invece la vendita di beni immobili di valore inferiore alle lire 10 terzole era sufficientemente provata dalla presenza di testimoni [47].
Nella procedura criminale i consoli di giustizia, infine dovevano partecipare, intervenire e consigliare il podestà, quando, ogni sei mesi, era tenuto a emanare le condanne e le deliberazioni per quei delitti a cui si applicava la pena pecuniaria secondo lo statuto criminale [48].
Gli ESATTORI DELLE TAGLIE o SCODITORI o CANEPARI erano otto, due per vicinanza, avevano il compito di riscuotere le taglie.
I due COMMISSARI o DEPUTATI DELLE STRADE duravano in carica due anni, avevano l'obbligo di vigilare sui ponti, sulle strade e curarne il mantenimento e i dovuti restauri [49].
I CAMPARI, scelti due per ciascuna vicinanza, esercitavano il loro ufficio per un solo anno e vegliavano alle proprietà rurali impedendone ed eventualmente notificandone i danni. Essi, comunque, non percepivano uno stipendio fisso, ma avevano diritto alla terza parte delle multe che dovevano pagare i trasgressori delle leggi comunali [50].
Nell'ufficio dei SINDACI prevaleva il carattere onorifico su quello oneroso; infatti le loro attribuzioni si limitavano alla rappresentanza. Essi erano preposti alla gestione dell'Ospitale dei poveri. Tale istituto aveva il compito di soccorrere la popolazione indigente del comune nonché ospitare e rifocillare i forestieri. Essi erano nominati dal consiglio ordinario segreto nel numero di sei, cioè quattro sindaci locali, uno per ogni vicinanza e due sindaci generali eletti dai sindaci vicinali. I sindaci duravano in carica due anni e venivano eletti, alternativamente, dal consiglio ordinario segreto [51].
Gli STIMATORI erano eletti dal consiglio ordinario segreto. Di essi uno era specificamente eletto come "regolatore dell'estimo" e tutti, una volta nominati, prestavano giuramento nelle mani del podestà e procedevano tanto alla esecuzione delle stime quanto alle successive valutazioni dei danni provocati dagli stravolgimenti naturali per i necessari aggiornamenti e per la valutazione delle detrazioni.
Le stime così effettuate, la cui formulazione necessitava di più anni, erano registrate dallo scrittore e dal cancelliere comunale predisponendo i libri d'estimo.
Conclusa la formazione dell'estimo, i registri o volumi così costituiti erano sottoposti alla verifica del podestà che provvedeva con apposita grida esecutiva alla loro approvazione. Una volta redatti, rilegati e approvati, i libri d'estimo erano conservati presso l'archivio comunale, divenendo oggetto di continua consultazione per la determinazione delle taglie.
L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA A PIURO FINO AL XVIII SECOLO.
Nei Grigioni ogni singola comunità giurisdizionale aveva propri statuti spesso diversi tra loro.
Le comunità di Chiavenna e di Piuro erano rette: la prima da un commissario e la seconda da un podestà. Tanto il commissario come il podestà erano obbligati a tenere le udienze tre volte alla settimana: il primo, il martedì, il giovedì ed il sabato, il secondo, il lunedì, il mercoledì e il venerdì. [52].
Il podestà non era, salvo rarissime eccezioni, un giurisperito tanto meno un giudice professionista; egli nelle cause civili in primo grado, di particolare complessità, su istanza di parte o d'ufficio, trasmetteva gli atti ad un giureconsulto esterno. Tale giureconsulto, scelto oppure sorteggiato tra i due proposti dalle parti, esprimeva il suo parere, definito consiglio del savio, sulla causa e lo trasmetteva al podestà che così poteva emettere la sentenza. Egli aveva diritto ai 2/3 del salario percepito nella causa; l'altro terzo spettava, ovviamente, al giudice-podestà. Tale salario risultava essere del 3 % sull'ammontare della somma o valore su cui si era agitata la causa.
Le appellazioni contro il consiglio del savio dovevano essere giudicate da uno o da tre persone che non erano giurisperite. Se la sentenza emessa da questo tribunale fosse stata conforme a quella della prima istanza, avrebbe assunto carattere definitivo. Invece se la sentenza non fosse stata conforme, le parti avrebbero potuto rivolgersi alla sindicatura o alla dieta generale delle Tre Leghe. La sindicatura era composta da tre membri, uno per ciascuna lega, inviati direttamente dal governo reziano per riparare alle ingiustizie commesse dai giudici. Ulteriormente le parti potevano appellare anche le sentenze della sindicatura portando la causa all'attenzione degli stessi comuni dominanti, che costituivano il tribunale supremo della repubblica.
Per quanto riguarda la procedura criminale, il podestà, coadiuvato dai consoli di giustizia, era tenuto ad emanare, ogni sei mesi, le condanne o le liberazioni in tutti i delitti per i quali era prevista la pena pecuniaria. Per i delitti che prevedevano, come sanzioni, altre pene come la prigionia o la tortura, il podestà doveva consultare un dottore imparziale, eseguendo quanto da questi disposto. Successivamente, nel 1599, fu, però, previsto dal governo grigione con decreto, che il podestà avrebbe dovuto essere assistito da un assessore, il cui compito sarebbe stato quello di curare che, negli esami dei testimoni, nei casi di tortura, nelle sentenze fosse amministrata rettamente la giustizia e fossero osservati gli statuti. La sentenza espressa dal podestà con il voto dell'assessore era inappellabile, anzi gli assessori avevano la possibilità di commutare la pena di morte in altra pena ugualmente di morte, ma con una esecuzione meno straziante, o addirittura commutarla in galera. Anzi, curiosamente, si può ricordare che, per risparmiare le spese di costruzione del patibolo e della venuta del boia da Coira, il podestà era solito dare gratificazioni pecuniarie ai giudici perché commutassero ai rei la pena di morte con quella della reclusione.
Il governo grigione mandava spesso a Piuro per i delitti di stato e di suprema polizia Delegati loco dominorum i quali si assumevano il diritto di decidere, a volte, anche relativamente alle private vertenze civili.
I giudizi criminali per delitti di fellonia e di ribellione erano esclusivamente devoluti al supremo tribunale della repubblica.
Per quanto riguarda, invece, il processo degli ecclesiastici, questo spettava al foro competente, dipendendo essi esclusivamente dal vescovo di Como, e per questo, dal vicario foraneo di Chiavenna, il quale aveva il diritto di servirsi della pubblica forza armata per procedere contro i suoi dipendenti [53].
La carica giurisdizionale di maggior importanza era il podestà.
La giurisdizione di Piuro era retta da un podestà che era il rappresentante del governo grigione. Questi in un primo tempo era eletto nelle diete generali e la sua carica durava due anni; poi con la riforma del 1603, il diritto di elezione veniva ceduto ai vari comuni della Rezia, ai quali spettava la nomina a seconda della distribuzione. Per moltissimo tempo fu utilizzata la corruttela di vendere l'ufficio di podestà a colui che offriva il maggior prezzo; nemmeno la riforma del 1603 riuscì a far prevalere i severi provvedimenti sull'avidità dei comuni. Il podestà e il suo luogotenente dovevano giurare prima o all'atto della accettazione del loro ufficio [54]. Il podestà e il suo luogotenente giuravano toccando le Sacre Scritture, più precisamente il Vangelo e promettendo la difesa della Santa Chiesa Cattolica e la fedeltà verso le Eccelse Tre Leghe [55]. Accanto al podestà vi era, quindi, un luogotenente quale suo sostituto. Il luogotenente, scelto di diritto dal podestà fra le persone giurisperite, giurava allo stesso modo del podestà e lo assisteva poi anche nelle cause civili criminali.
Vastissime erano le attribuzioni del podestà che aveva l'autorità della spada e della grazia, di condannare, di punire, di comporre la lite sia nel civile che nel criminale, ma ogni sua attività era soggetta all'osservanza rigorosa dello statuto. Quindi le attività del podestà erano soprattutto relative alla revisione al controllo dell'attività degli organi locali della pubblica amministrazione e all'amministrazione della giustizia [56].
Il podestà, con i consoli di giustizia, doveva rivedere ogni biennio i rendiconti dell'amministrazione dei beni dei pupilli da parte dei curatori [57], poteva abbassare da diciotto a sedici anni il limite di età per la emancipazione [58], assistere all'assegnazione di parte del patrimonio all'emancipato [59] e ancora presidiare a qualunque spoliazione o vendita di beni immobili che eccedesse la somma di lire 10 terzole [60].
Note:
1] Guido Scaramellini, Günther Kahl, Gian Primo Falappi, La frana di Piuro del 1618. Storia e immagini di una rovina, Sondrio, Associazione italo-svizzera per gli scavi di Piuro, 1988, p.11.
[2] Pietra ollare, roccia metamorfica di colore verdastro facilmente lavorabile al tornio per ricavare vasi e pentole.
[3] Scaramellini, Kahl, Falappi, La frana di Piuro del 1618, cit., p.11.
[4] Dario Benetti, Massimo Guidetti, Storia di Valtellina e Valchiavenna. Una introduzione, Milano, Jaca Book, 1999, pp. 31-33.
[4] Ettore Mazzali, Giulio Spini, Storia della Valtellina e della Valchiavenna, vol. I, Sondrio, Bissoni, 1968, passim.
[5] Antonio Colombo, Piuro sepolta, Milano, L'Ariete, 1969, pp. 58-59.
[6] Scaramellini, Kahl, Falappi, La frana di Piuro del 1618, cit., p. 12.
[7] Enrico Besta, Storia di Valtellina e Valchiavenna. Dalle origini alla occupazione grigiona, vol.I, Milano, Raccolta di studi storici sulla Valtellina, 1955, passim.
[8] Colombo, Piuro sepolta, cit., p. 60.
[9] Tarcisio Salice, Piuro e la sua economia nel Trecento, in " Clavenna. Bollettino del Centro di studi storici valchiavennaschi ", XI (1972), pp. 14-29, in particolare pp. 16-17.
[10] Colombo, Piuro sepolta, cit., p. 41.
[11] Fürleite, dazio sulle merci in transito, tratto da Scaramellini, Kahl, Falappi, La frana di Piuro del 1618, cit., p.15.
[12] Scaramellini, Kahl, Falappi, La frana di Piuro del 1618, cit., p. 15.
[13] Salice, Piuro, cit., p. 20.
[14] Colombo, Piuro sepolta, cit., p. 57.
[15] Scaramellini, Kahl, Falappi, La frana di Piuro del 1618, cit., pp. 17-20.
[16] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 277.
[17] Laveggi, recipienti in pietra ollare.
[18] Salice, Piuro, cit., p. 19.
[19] Soma, antica misura italiana di capacità per cereali (valeva 164,52 litri a Milano), voce Soma, in Enciclopedia universale, vol. XIV, Milano, Rizzoli Larousse, 1963, p. 153.
[20] Carlona, termine dialettale che indica cereale.
[21] Scaramellini, Kahl, Falappi, La frana di Piuro del 1618, cit., p. 20.
[22] Brenta, misura di capacità del vino (variabile tra i 49 e i 75 litri, secondo il luogo), voce Brenta, in Enciclopedia universale, vol. III, Milano, Rizzoli Larousse, 1963, p. 31.
[23] Colombo, Piuro sepolta, cit., p. 65.
[24] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 278.
[25] Scaramellini, Kahl, Falappi, La frana di Piuro del 1618, cit., p.38.
[26] Antonio Colombo, Piuro sepolta, Milano, L'Ariete, 1969, p. 43.
[27] Giovan Battista Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, Chiavenna, Giovanni Ogna, 18982, pp. 426-427.
[28] Maneggio, nella terminologia locale indica il conto consuntivo.
[29] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., pp. 426-427.
[30] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 427.
[31] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., pp. 426-427.
[32] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 427.
[33] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 427.
[34] Luigi Bossi, Sugli Statuti di Chiavenna del 1539, in " Clavenna. Bollettino del Centro di studi storici valchiavennaschi ", VIII (1969), p. 36.
[35] Cap. 70, Statuti criminali di Piuro, Della pena delli consoli li quali non rendono giusta ragione delle cose amministrate per loro nel tempo del loro consolato.
[36] Cap. 150, Statuti civili di Piuro, Che ciascun console possa essere convenuto per il debito del suo comune et le particolari persone non siano convenute.
[37] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 427.
[38] Bossi, Sugli statuti, cit., p. 37.
[39] Cap. 163, Statuti civili di Piuro, Che lo comune de Plurio sia obbligato ad eleggere deputati sopra le vittovaglie.
[40] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 428.
[41] Cap.25, Statuti civili di Piuro, De li consoli de giustizia da essere eletti nella giurisdizione per sottoscrivere li instrumenti de li notari.
[42] Cap. 26, Statuti civili di Piuro, Che nessun notaro creato da un conte palatino possa rogare instrumenti, se non sarà laudato dalli consoli di giustizia.
[43] Cap. 109, Statuti civili di Piuro, Che li tutori et curatori delli beni de pupilli per loro administrati.
[44] Cap. 117, Statuti civili di Piuro, Che nessun figlio di famiglia minore di dieci otto anni possa essere emancipato.
[45] Cap. 118, Statuti civili di Piuro, Che alli emancipati si dia una certa porzione.
[46] Lire terzola, era l'unità fondamentale di valore usata nel contado di Chiavenna; corrispondeva, originariamente, ad un quantitativo, in peso, di denari contenenti la terza parte di argento; di valore pari a metà della lira imperiale che era suddivisibile in venti soldi ciascuno di dodici denari.
[47] Cap. 84, Statuti civili di Piuro, Che nessuna privazione di tutti i beni sia fatta se non in presenza del sig.re podestate et delli consoli di giustizia.
[48] Cap. 7, Statuti criminali di Piuro, Che il sig.re podestatate sia obbligato a far le condanne et le absoluzione ogni sei mesi.
[49] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 428.
[50] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 428.
[51] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 422.
[52] Guido Scaramellini, Günter Kahl, Gian Primo Falappi, La frana di Piuro del 1618. Storia e immagini di una rovina, Sondrio, Associazione italo-svizzera per gli scavi di Piuro, 1988, p. 15.
[53] Giovan Battista Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, Chiavenna, Giovanni Ogna, 18982, pp. 443-451.
[54] Cap.1, Statuti criminali di Piuro, Dell'officio del sig.re podestate de Plurio et del giuramento del suo locotenente nell'intrar del detto officio.
[55] Cap. 2, Statuti criminali di Piuro, La forma del giuramento del prefato sig.re podestate et del suo locotenente è tale cioè.
[56] Crollalanza, Storia del Contado di Chiavenna, cit., p. 444.
[57] Cap. 109, Statuti civili di Piuro, Che li tutori et curatori delli beni de pupilli per loro administrati.
[58] Cap. 117, Statuti civili di Piuro, Che nessun figlio di famiglia minore di dieci otto anni possa essere emancipato.
[59] Cap. 118, Statuti civili di Piuro, Che alli emancipati si dia una certa porzione.
[60] Cap. 84, Statuti civili di Piuro, Che nessuna privazione di tutti i beni sia fatta se non in presenza del sig.re podestate et delli consoli di giustizia.